L’isola di Boracay nella regione di Malay a sud di Manila è un luogo dove le stradine sono di terra battuta, percorse a piedi, in bicicletta o da carretti tirati da grossi bufali chiamati ‘carabau’. Qui l’energia elettrica ancora non è arrivata e l’aria è quella che proviene dai venti temperati del Mare di Sulu; qui si stacca la spina dai ritmi a cui siamo abituati a vivere e in cui siamo nati e cresciuti e che ormai ci sembra che corrano ad un ritmo troppo veloce e distratto. Qui siamo spinti dalla curiosità della scoperta di un mondo diverso, semplice, essenziale.
Nei primi giorni uscendo in windsurf mettiamo a punto le attrezzature, abituandoci con il passare dei giorni ai ritmi dell’isola. Ci vogliono giorni per raggiungere lo stato mentale di calma imposto dalla vita locale. Il fruscio delle palme, il canto degli uccelli, i colori strabilianti, le albe tiepide e i caldi tramonti. L’aria calda e umida scorre sulla pelle unta dall’olio di cocco; gli alberi di papaya sono generosi così come quelli di banane, con il loro fiore prelibato per i colibrì che arrivano di tanto in tanto per gustare il dolce nettare; le palme da cocco sono fonte essenziale per i diversi usi quotidiani: ogni tanto cade una noce dall’alto con un sibilo iniziale per finire a terra in un tonfo sordo. Esploriamo l’isola camminando nel caldo del tardo pomeriggio.
Al lato nord c’è un villaggio di ‘negritos’, indigeni del luogo; sono di statura piccola, scuri di pelle, con aria dimessa, probabilmente come tutti gli indigeni vengo ghettizzati e in parte sottomessi. Vivono in capanne fatte di legno e foglie di palma, alcune con vecchi bandoni di lamiera. È una piccolissima comunità che sopravvive all’avvento del consumismo aiutandosi a vicenda, accontentandosi di fare un’esistenza semplice a stretto contatto con la natura. Mentre gli adulti sono impegnati a procurare cibo e cucinare, i ragazzini più grandi badano a quelli più piccoli e quest’ultimi, a loro volta, a quelli ancora più piccoli. Non è raro vedere bambini di 5 anni tenere in braccio un piccolo di meno di un anno che ancora non cammina, in un ciclo continuo che segue il susseguirsi delle generazioni. Una volta tornati al nostro accampamento, il sole è basso dietro alle fronde delle palme; il cielo è tinto di rosso, arancione e grigio e preannuncia la fine di un altra giornata.
Nella baia oggi tira un forte vento già dalle dieci del mattino, oggi sarà una giornata di fuoco. Alessandro lo aveva preannunciato; armiamo le vele 4.7, nel cielo a tratti scorrono nuvole grigie e le raffiche raggiungono già i 25 nodi e oltre. Oggi voglio provare la tavola da velocità modello ‘Allegro’ della Bic Sport, dentro la baia il mare è piatto e si vola a velocità supersonica lasciandosi dietro una bianca scia appena percettibile. Strambo piegandomi sugli stretti bordi, la tavola risponde sempre meglio: è divertente scoprire nuove linee mai percorse prima, diverse dalle nostre plancette da wave più strette e radicali. A volte ci spingiamo fin sopra il reef a sette-ottocento metri dalla riva dove onde frastagliate si frangono disordinate permettendoci di saltare tra un lip di un’onda e l’altro. A metà giornata siamo, no stanchi, di più… Appena sistemate le vele nella rastrelliera che abbiamo realizzato, mettiamo le tavole sotto lo spazio che si crea tra la casa e il terreno essendo questa costruita su una palafitta. Organizziamo un pranzetto da noi con Alessandro e la moglie Arline che ha portato le fettuccine con il ragù preparato da Ale il giorno prima. Dopo pranzo si chiacchiera un po’ della giornata vissuta con il sorriso stampato sul volto, facendo sogni e progetti futuri; ci piacerebbe prendere un terreno in affitto e mettere su un piccolo resort, un giorno. Alessandro ha dei contatti con Benedicto, un uomo del posto, che si può occupare di individuare una porzione di terra sulla baia di Bulabog che possa andare bene per il nostro progetto. Dopo solo un paio di giorni l’attempato Benedicto ci informa di aver trovato un ettaro di terra disponibile che sembra corrispondere alle nostre necessità. Dopo una settimana si organizza un sopralluogo. È proprio fronte mare, largo 50 metri e si estende all’interno per altri 200; pieno di palme da cocco e cespugli. In quattro e quattr’otto siamo in contatto con uno dei proprietari che è pronto a firmare un contratto di 10 anni rinnovabili al prezzo di circa sei milioni di lire italiane che dovremo pagare in tre rate da due milioni per ognuno di noi. Cominciamo a sognare il progetto, mi diverto a fantasticare e mentre disegno la casa, sogno che ci abiteremo alternandoci: sarà il cuore del resort. Dei piccoli bungalow intorno con servizi essenziali, un’altra costruzione sarà la cucina e la zona ristoro e, fronte mare, la zona sportiva con windsurf, canoe e piccoli parau a vela. Il sogno sta prendendo forma, noi tre passiamo serate insieme parlando del nostro futuro ‘resort’, passo ore a disegnare la mia casa ideale prima di arrivare al progetto finale.
Purtroppo il tempo della vacanza è quasi al termine, Umberto parte prima di me tra una settimana. Il penultimo giorno prima che Umberto parta, firmiamo il contratto di affitto del terreno mettendo un punto fisso dal quale partire. Pago la prima parte dell’affitto, due milioni di lire, che coprirà i primi tre anni. Cinque giorni dopo parto anch’io; torniamo a casa con un po’ di amarezza nel cuore, lasciare Boracay vuol dire ‘ciao’ al tipo di vita semplice e rilassato per tuffarsi nuovamente nel nostro ambaradan giornaliero di sopravvivenza ‘Italian Style’.
Atterrati a Fiumicino, i famigliari ci vengono a prendere e la gioia di abbracciarsi, di rivedersi dopo due mesi tutti sani e salvi, è immensa. Siamo momentaneamente contenti anche noi, con un breve saluto si allontaniamo verso le nostre case per riprenderci dal lungo viaggio.
L’aria di marzo è fresca e frizzante questa mattina al Villaggio dei Pescatori, Lillo, il mio fedele compagno, è contento e scodinzola il suo mozzicone di coda muovendolo all’impazzata; io, allo stesso modo, corro verso la riva sulla spiaggia davanti a casa, facciamo una passeggiata fino alla foce dell’Arrone. Il mare è calmo, il vento da terra perfetto per la pesca delle telline, le barche dei pescatori sono al lavoro, il ritmo lento dei gozzi fa da colonna sonora alla scena famigliare. Armando alza un braccio per salutarmi, ricambio agitando il mio. Non vedo l’ora di andare al circolo per controllare che tutto sia a posto, la mia ‘Polo’ lì fuori parcheggiata ha bisogno di una bella sciacquata, è piena di salsedine e sabbia attaccata sui vetri e sulla carrozzeria. Con un salto Lillo sale su sedendosi al mio fianco, per fortuna la macchina parte subito e in 5 minuti siamo davanti al Miraggio dove mi fermo per salutare e informare del mio ritorno; c’è Romeo seduto ad una sedia del ristorante intento a parlare con un altro uomo apparentemente egiziano o arabo. “Sei tornato Barbuzza!” esclama; una stretta di mano e due chiacchiere per i soliti convenevoli, sembra essere tutto ok. Mi chiede se posso dare una mano nella sorveglianza in piscina: la cosa non mi piace molto, ma dovrò accontentarlo per cercare di conservare un buon rapporto. Mi incammino verso la spiaggia che sembra accarezzata dal vento di tramontana, il cielo è sereno, azzurro, i catamarani sono a posto e li sciacquo con il tubo togliendo tutta la salsedine color crema che sgocciola sotto lo scafo formando una pozza di schiuma giallognola. Anche la serranda esterna è piena di salsedine e sabbia appiccicata sparata dai venti dal mare; do un bella pulita anche all’interno del tunnel dove stanno rimesse le tavole, la sabbia è dappertutto, ma viene spazzata via in un paio d’ore di lavoro. Scarico le tavole che abbiamo usato nel viaggio dalla macchina, alcune attrezzature le abbiamo lasciate a Boracay in previsione di un ritorno il prossimo inverno.
La stagione è ormai alle porte; mi aspettano i soliti rituali di lavori di manutenzione, il pieno di diesel alla caldaia per le docce è fatto, una mano di pittura a calce e colla alle pareti ingiallite darà un tono di pulizia, la rete da pallavolo viene fissata bella in tiro pronta per il prossimo week-end di riapertura. Il sabato successivo una giornata di sole primaverile accoglie i soci più affezionati che sono accorsi con le relative attrezzature: la segreteria ha iniziato a iscrivere i primi impazienti Windsurfieri. La segreteria telefonica con il numero 6680958 squilla a ritmo moderato; qui la voce ‘amica’ informa: “Buongiorno Windsurfieri, eccoci finalmente alla riapertura del Fregene Vela Club, siamo contenti di annunciare che il circolo oggi ha ufficialmente aperto le iscrizioni, il vento è leggero da tramontana con raffiche intorno ai 10 nodi, il cielo è sereno e la rete da pallavolo è pronta, vi aspettiamo e… a presto”. Un nostro socio di nome Sergio Marchetti ha importato della tavole dalle Hawaii fatte da Mc Lennay che è lo shaper, io e Franz ne ordiniamo una, una bella 260 con i bordi in carbonio lucidata a specchio. Arriva dopo qualche settimana, non vedo l’ora di provarla, sono eccitatissimo. La prima mareggiata utile con vento di scirocco è perfetta, il vento non è esagerato sui 20 nodi con ondine di un metro, proviamo i salti con Franz che è un saltatore incallito: è più il tempo che vola che quello che sta in acqua. Lo spirito è alto al club, io e Umberto siamo allenati ma anche un po’ infreddoliti ,abituati alle temperature equatoriali filippine. Con la muta addosso poi, i movimenti sono più legati per via del duro e puzzolente neoprene nel quale ci siamo infilati. Il vento buono dura fino alle tre per poi calare dando modo ai ritardatari di fare la loro uscita usando vele più grandi da 5.6mq. Nello spogliatoio c’è un bel via vai: sul pavimento la sabbia bagnata, le panche piene di vestiti buttati lì in fretta e furia per non perdere tempo, le mute sciacquate sgocciolano in un catino appese al bastone, la puzza del neoprene bagnato ‘attanfa’ l’aria piena di vapore Mentre la primavera si inoltra, l’aria si scalda creando le prime brezze da mare, gli appuntamenti sono quasi sempre nel primo pomeriggio con il vento di ‘ponente’ che la fa da padrone. A volte i tramonti mozzafiato accompagnano le nostre planate accecati dal riflesso del sole sull’acqua e chiudiamo così un altra giornata da mettere nel ‘sacco’ delle emozioni.
Carichi di entusiasmo come al solito, ordiniamo le attrezzature per la scuola; abbiamo alcune tavole che hanno bisogno di manutenzione, soprattutto l’antisdrucciolo e qualche piede d’albero da sistemare. Quest’anno abbiamo un ben nutrito programma di regate ed eventi che ci vedrà impegnati per tutta la stagione, ci sarà una delle prove della Tigà Sprint e una ‘1000km’ organizzata per la UP da Luca Pacitto, che partirà dal Fregene Vela club fino a Cerenova per poi tornare il giorno dopo. Ci sarà Baita con ‘Radio Dimensione Suono’ a fare la telecronaca in diretta. Il nostro circolo Fregene Vela Surf è la prima e la sola realtà di Fregene e dintorni: lo sport della vela, e soprattutto del windsurf, lo facciamo noi. Un amico, Massimiliano Germini, mi aiuta a sistemare il percorso, ci siamo conosciuti tramite Marina Cavalcaselle che è la sua ragazza e una delle poche donne che frequentano il club.
Attiriamo in regata anche alcuni velisti di zona come il sig. Bitelli proprietario della cartoleria nel centro di Fregene, che con un altro suo ‘compare’ si diletta sul Fly Junior; peccato che poi salta una sartia e siano costretti loro malgrado a ritirarsi. C’è entusiasmo e voglia di andare per mare nonostante il livello velico e le barche messe in acqua dopo lunghi periodi di stazionamento in qualche angolo di qualche stabilimento balneare. I ‘Corsini brother’, Stefano e Roberto, sul catamarano la fanno da padroni nella classe e si portano a casa il primo premio; loro sanno come ruotano i venti locali e sono sempre sul bordo buono. Nelle barche i fratelli Provini su Laser vincono lasciando parecchie centinaia di metri di distacco al resto della flotta; due nostri allievi, Giulio Scarselli e Andrea Guidi su Laser 2, gli sono dietro portando in alto i colori e l’orgoglio del FVC.
C’è molto da fare nel club, anche se continua ad esserci nell’aria quel senso di instabilità che un po’ ci impensierisce. Una ‘Cugas Board’ shepata da Umberto viene data a Pino Azzarito detto ‘Pino di Passoscuro’ che dimostra talento e grande abilità nel wave; peccato che sia alquanto rude e spesso rompa qualcosa, ma la speranza è che questa sponsorizzazione porti i suoi frutti.
Lì dietro il tavolo del ristorante del Miraggio, tra un piatto di spaghetti alle vongole e un fritto di paranza, si decidono anche le nuove strategie di mercato. La discoteca sembra aver avuto un grande calo di clienti, l’hotel Miraggio, gestito da Luciano, come al solito va sempre bene; nuove idee vengono proposte e nuovi progetti sparsi sul tavolo davanti alla cassa del ristorante.
Umberto mi annuncia che non può portare avanti il progetto del resort di Boracay per motivi personali: rimango pensieroso dopo la notizia, ho già investito la mia parte, spero soltanto che Alessandro Landi metta del suo per proseguire nella missione. Ora dividere per due è più complesso e dispendioso, speriamo bene.
Ho in programma di partecipare quest’anno ad una regata internazionale PBA di windsurf slalom in Malesia, ho comprato una tavola da Roberto Ricci e messo su un set di vele dalla 6.5 alla 5.2, con alberi e boma adatti. Sono piuttosto arrangiato rispetto a chi mi troverò davanti nella regata, ci sono grossi nomi e tutti professionisti forniti di materiali all’avanguardia con grosse capacità tecniche. Il mio scopo è fare esperienza e confrontarmi con il meglio al mondo per vedere qual è il gap da colmare, sempre che sia possibile colmarlo. Andrò prima per una ventina di giorni ad allenarmi a Boracay, così avrò modo di portare anche avanti il progetto del resort e vedere come possiamo affrontarne lo sviluppo. È già tempo di partire: impacchetto le sacche per le attrezzature e prendo un volo per Manila con la Malesia Airline che mi dovrebbe aiutare con l’extra baggage. Al check-in tutto scorre liscio, per fortuna un addetto mi ha dato una bella mano imbarcando le mie due sacche con oltre 40 kg di materiale. L’aereo prende finalmente il volo verso un’altra avventura… vedo Fiumicino dall’alto scomparire pian piano in mezzo alle nuvole.