Sul litorale di Fregene infuria la forza del libeccio spazzando la spiaggia ormai abbandonata; muri di paratie fatte di stuoie e di canne di fronte alle dormienti strutture balneari resistono alla forza e all’energia del mare. Nell’altro emisfero, quello Sud, l’anima del FVC vive una nuova avventura nella vasta e selvaggia Australia, mentre gli appassionati della tavola a vela siedono comodamente davanti ai caminetti scoppiettanti, avvolti in calde coperte nell’attesa della bella stagione, rimescolando ricordi, momenti vissuti, occasioni perse e giornate mitiche.

Davanti al dubbio futuro sulle sorti del Fregene Vela Club-FVC, nato e cresciuto al Miraggio Club dal quale ha subito un forte scossone, direi un terremoto, la nuova avventura è come una sorta di incitazione alla rinascita del movimento. Nella zona di Fregene, sotto sotto si stanno muovendo nuove realtà e nascono nuove occasioni per l’ambiente del windsurf; Luca e Francesca stanno mettendo su un circolo nello stabilimento all’estremo sud dove gran parte dei soci si sta già riversando.

Nel frattempo il motore della mia Holden Kingwood continua a girare, bruciando gasolina e olio per migliaia di chilometri nella costa sud della sconfinata Australia. Si attraversano sconfinate radure, fitti boschi popolati da grandi canguri che la fanno da padroni. Attraverso Esperance e poi Albany per giungere finalmente sulla costa ovest, sconfinata e selvaggia, battuta dai venti e dalle tempeste, ricca di onde ed emozionanti paesaggi. Il viaggio si ferma una volta giunto a Margaret River, una ridente cittadina famosa per i sui ‘break’ ma anche per le sue ‘winery’ sparse in giro. È piena di vigne e di cantine che offrono degustazione di vini fruttati con i profumi tipici della vegetazione locale, dal sapore arso della salsedine e fortificati dal sole cocente della calda stagione estiva. Giungo in un bel ‘lodge’ che mi accoglie calmo e tranquillo; qualcuno è intento a leggere un libro sdraiato su un’amaca, altri giocano a ‘backgammon’ con una musica di sottofondo. Finalmente si apre davanti a me una porta dopo aver vissuto per una settimana a zonzo tra una spiaggia e un ‘point’ dormendo nel ‘bush’ durante le notti ventose. Al mattino venivo solitamente svegliato dalle manate sulla carrozzeria della mia Kingwood dal ranger di zona che mi allertava, per l’ennesima volta, del divieto esistente in quella zona bandita al ‘free camping’, rischiando una multa di 400A$ se mi avesse beccato di nuovo.

Il ‘lodge’ è ben organizzato e attrezzato di tutto il necessario; nella mia stanza da 4 posti c’è un giapponese, con il quale faccio conoscenza, di nome Masakasu, un tipo tranquillo appassionato di surf, sorridente e gentile come la maggior parte dei nipponici. Al mattino Masa si prepara fuori, stende il suo telo, fa le sue sedute di stretching; le sue ‘asanas’ sono lente e vanno a ritmo con la tranquillità del luogo. La nostra mattina solitamente è dedicata alla pratica del surf ed io come Masa sono alle prime armi. C’è una spiaggia sotto Preverly Park adatta ad imparare, è una piccola baia a destra del ‘main spot’, è lì che andiamo a cercare di prendere qualche onda imparando ad alzarci in piedi nel verso giusto, lì dove l’onda tende ad arrotolarsi. Di cose da imparare ce ne sono molte: l’attesa, la scelta, la posizione, la tecnica, l’equilibrio il movimento, il respiro. Ho questa tavola di 7’ che mi ha costruito il mio amico Fabio Gini, una Dirty rossa e bianca adatta per imparare; anche se continuo a remare senza trovare molte onde, mi diverto molto e il mio corpo ne trae piacere e beneficio opponendo la posizione delle uscite in windsurf; infatti le posizioni, se ci pensate, si contrappongono riequilibrando le tensioni date nel tenere il boma nelle forti raffiche dei venti da SE.

La metà della giornata è dedicata ad un pranzetto con pennica finché il vento, intorno alle 15 circa, fa il suo esordio. Ci vuole un attimo ad arrivare al point di Preverly Park dove già si vedono alcuni windsurfisti intenti a preparare le loro attrezzature. Il ‘break’ è da conoscere e guardo per un po’ gli altri uscire e rientrare: bisogna farlo da una canaletto tra due rocce prima di navigare verso la parte destra libera dalle onde. Le vele armate sono le 4.7 su tavole wave di diversi volumi, dagli 85 ai 70 litri per i più leggeri. Ci metto un po’ per decidermi ad entrare in acqua, le onde oggi sono di un paio di metri e rompono su di un basso fondale fatto di lastroni piatti di roccia che arrivano fino quasi a riva. Finalmente mi faccio coraggio; scendo le scale che portano alla piccola spiaggia davanti allo spot, aggancio la tavola alla vela, do un ultimo sguardo prima di entrare imboccando lo stretto canaletto che dà l’accesso ad uno dei posti migliori al mondo per il windsurf sulle onde Margaret River. È più facile di quanto credessi; esco nel grande blu dopo le onde seguendo i ‘local’ e mirando dove vanno a strambare per tornare in una dolce discesa, una volta scelta l’onda da accarezzare fino a spingere sempre più forte, gradualmente, come quando si fa l’amore. Una volta raggiunto il punto di rottura si apre una parete dove affondare il bordo della tavola con quel suono che ogni tanto ritorna nei sogni ‘fffffscccssss…’

Dopo tre bordi torno a riva per riposare le braccia e le gambe; il sorriso a 32 denti, il cuore che ancora pompa a 150, la gioia di essere qui lontano dai problemi e dai soliti intrighi della vita del club mi rende contento, le righe sulla fronte finalmente si distendono. La mattina dopo chiamo casa, una saccocciata di monete scorre via con il passare dei secondi: “Come va lì a casa pa’?, ora sono a Margaret River”; mio padre mi dice che quelli dei Ministeri Finanziari hanno chiamato dicendo che ci sarebbe la possibilità di avere in uso la parte della colonia marina nello stabilimento balneare destinato ai dipendenti. Sono un po’ sorpreso dalla notizia e anche un po’ scioccato dalla valanga di pensieri che cominciano a frullarmi nella testa. Sarà il caso di ricominciare?, di spendere ancora molte energie dietro ad un progetto sportivo del FVC? Avrò la forza di ricominciare a sistemare e organizzare un club con tutto quello di cui ha bisogno? Prometto a mio Padre, che ci tiene tanto, che tornerò alla fine di questo febbraio 1991.

Una grande mareggiata sbatte sulla costa ovest ora, allo spot di Preverly Park le onde superano i 7 metri rompendo con violenza sul lastrone di roccia antistante. Un folto gruppo di windsurfieri fa capannello guardando la scena, nessuno si accinge ad armare, ma neanche a pensarci. Poco dopo siamo sulla spiaggia a sinistra della punta a ‘Gnarabup Beach’ dove le onde entrano ed escono soffiando all’interno delle rocce sparse. Un americano arma ed entra lanciandosi come un kamikaze verso il largo; in quel momento, quando era a un paio di cento metri dalla riva, le onde risucchiano l’acqua e lui insieme lasciandolo quasi a secco sulle rocce dove viene finamente salvato da un gruppo di surfieri locali. Avrà una gamba lesionata e una frattura alla spalla per la sua bravata da vero ‘yankee’.

I giorni passano, con Masakasu al mattino nelle nostre sessioni di onde continuiamo ad imparare le tecniche del surfing; ora riusciamo a prenderne alcune alzandoci in piedi ed è già una gran bella soddisfazione. I pomeriggi in windsurf sono sempre più in confidenza con il ‘break’, ormai surfiamo le onde cavalcandole da fuori fino al punto più ripido per finire poi nel blu della baia. Impressionante il colore blu notte dell’acqua già ad un centinaio di metri dalla riva… Qui le onde arrivano da lontanissimo e trovano questo scalino ripido che le rende grandi e di un certo livello. A testimoniare la forza e la potenza dell’oceano è un onda di circa due metri che rompe con violenza sulla mia attrezzatura, in uno di quei giorni in cui non sono troppo grandi. Riemergendo dopo essere caduto surfando il ‘lip’ di quell’onda, mi accorgo che la mia tavola è spezzata e l’albero rotto; a fatica riesco ad arrivare a terra dove alcuni amici mi aiutano a recuperare quel che rimane della mia attrezzatura. La tavola spezzata, l’albero rotto, la vela mezza massacrata… ho ancora una settimana prima della partenza. Per fortuna c’è Mike che mi presta una delle sue tavole, una Delta Design 260, robusta e shepata proprio dalle sue mani. Per il tempo che mi rimane andrà benissimo, la mia, quella spezzata, andrà come arredamento sul soffitto del ‘lodge’ dove siamo ospitati, con una scritta sopra che dice: ‘One a bad wave’. È tempo di ripartire, la macchina interessa a Masakasu e gliela vendo allo stesso prezzo d’acquisto, 1200 A$, con l’accordo di accompagnarmi all’aereoporto di Perth. Sono soddisfatto della mia esperienza nel ‘wave riding’: le condizioni sono state impegnative in alcuni giorni e mi hanno dato modo di imparare a scegliere e surfare le onde di questo mitico e fantastico spot di Margaret River.

Dopo aver salutato Masa e con i miei bagagli ridotti di parecchio, prendo leggero il volo della Indian Airline con sosta a Bombay. Avrò ancora parecchie ore di volo verso la mia realtà… cosa mi aspetterà al ritorno? Un cielo grigio e un abbraccio di mio padre, il sorriso di mia madre, le sue mani magre, il rumore della città, il puzzo di fumo di sigarette, i tassisti che discutono… Lillo il mio amico a 4 zampe fa finta di non conoscermi talmente è incavolato con me, ma gli passa presto, fa sempre così al mio ritorno dopo alcuni mesi di assenza. Certo che la temperatura fresca è un bel trauma da affrontare; per fortuna ho della legna e accendo un bel fuoco nel caminetto della mia casetta al Villaggio dei Pescatori in Via Silvi Marina 131; mi scaldo accarezzando Lillo e scusandomi per la mia mancanza, so che lui mi capisce, è un po’ come me quando si perde nei canneti che sono la sua passione.

Dopo qualche giorno per riprendermi dal fuso orario e dallo shock iniziale italiano, dovrò contattare il signor Guastella, segretario di un settore dei Ministeri Finanziari, per sentire come pensano di organizzare le cose. Vado lì con mio padre venendo accolto con gentilezza; Edoardo Guastella mi dice che possono fare un contratto di locazione per 9 anni nei quali io dovrò pagare mensilmente una somma di circa Cinquecentomilalire per l’utilizzo dell’intero spazio della ex ‘colonia marina’ un edificio di due piani che si sviluppa per una lunghezza di circa 100 metri verso il mare; è una sorta di grosso edificio fatiscente dal quale si sono staccati grossi pezzi di intonaco, circondato da un muretto con un entrata autonoma e un’uscita fronte mare di una trentina di metri.

Il sopralluogo è scioccante; come si presenta questa struttura, dopo anni e anni di abbandono, è a dir poco imbarazzante. Per non parlare di quello che c’è dentro: finestre marce, porte divelte, letti e materassi vecchi ammuffiti, controsoffitti staccati. Intonaci frantumati giacciono a terra tutto intorno alla struttura. Mi metto le mani nei capelli pensando al lavoro che c’è da fare, non ho nemmeno troppo tempo per l’inizio della stagione. Contatto i pochi ‘aficionado’ del circolo, Massimiliano, Fabio, Stefano e pochi altri, annunciando la prossima apertura del nuovo centro velico surfiero per i primi di aprile (1991). Per liberare gli edifici ci sono camion pieni di detriti e materassi, porte e finestre di legno marce, una settimana solo per pulire la struttura. Assumo un paio di muratori per cominciare a sistemare la parte interna; lavorano a giornata con pausa pranzo a base di panini con affettati offerti dalla casa. Si lavora sodo per tre settimane, le mani secche e spaccate dalla calce; il tetto viene completamente ricoperto con una nuova guaina di catrame ma non arrivo a coprire tutte le spese e chiedo a mio padre se può contribuire. Per fortuna che non ho speso tutti i miei risparmi in Australia e ho qualche riserva da utilizzare per i materiali da costruzione: ci sono più di 40 finestre da rifare, l’impianto di riscaldamento per l’acqua delle docce, le strutture per il rimessaggio delle tavole e delle vele, spogliatoi da ristrutturare, bagni da cambiare… una marea di soldi fatica e tempo. Ma sono carico e positivo, sento che questo luogo ha un energia particolare. Il più è fatto e ancora molto c’è da fare sia all’esterno che all’interno, ma se vogliamo aprire il circolo farò i lavori che rimangono durante la stagione ormai alle porte. Si comincia vedere un gran miglioramento, sia nell’aspetto che nel contenuto della struttura: abbiamo montato un bel cancello all’entrata che per poco non mi cadeva addosso durate il fissaggio. Due colonne al varco a mare con sopra due palle che spiccano di un bianco lucente sotto la luce del sole. È con noi un grosso cane lupo, ereditato dall’ex guardiano del Miraggio che se n’è voluto disfare, e abbaia alla luna nelle serate limpide. Siamo qui anche noi come lupi nella steppa di Fregene. Finalmente siamo pronti, invitiamo il gruppetto di amici affezionati, i pochi rimasti fedeli: come si dice… pochi ma buoni.

E così si apre un nuovo capitolo del FVC: sarà la rinascita, l’entusiasmo e la passione per continuare a portare avanti il nostro modo di vivere il mare, di stare insieme dividendo i momenti di uscite in windsurf, ma anche i momenti di vita, i bbq con il pescato, la musica, l’arte, i giorni davanti al caldo tramonto, le albe tiepide, i giorni di tempesta, la gioia di stare insieme unendo diverse anime in un unico ambiente tranquillo, ospitale, rilassante, divertente… LA RINASCITA è INIZIATA.