Con la scomparsa di Luigi Angelini Fregene ha perso una parte importante della sua storia. Luigi, insieme al fratello Gianni, ha rappresentato la seconda generazione di quella che è stata una vera istituzione del centro balneare: La Trattoria Angelini, per più di quaranta anni uno dei pilastri della ristorazione locale. Per ricordare Luigi e la sua famiglia abbiamo chiesto a Gianni di aiutarci a ripercorrere quella vicende partendo dalle origini. Un racconto commovente, una storia di grandi sacrifici e di dedizione totale al lavoro, all’impegno e alla serietà di una famiglia di veri pionieri cresciuta insieme alla località, una tessera del mosaico perfettamente incastonata nel disegno più generale. “Tutto è partito nel 1925 quando mio padre Bernardino arriva a Maccarese per la bonifica – inizia raccontare Gianni nella nostra redazione – veniva dalla provincia di Ascoli Piceno, più precisamente da Castignano. Lui faceva i canali, poi ha cambiato lavoro ed è andato con un imprenditore di Maccarese, un certo Scossa, che riforniva tutti gli spacci dell’azienda agricola. Papà sapeva lavorare e Scossa gli affidò i Botteghini, piccolo spacci che distribuivano generi alimentari, uno era anche al Cantiere, dove c’era la falegnameria di Astolfi, lì c’era una pizzicheria”.
E tua madre?
Mamma, Ersilia Turato, è arrivata nel 1928 e faceva la mondina, raccoglieva l’uva. Ma già cucinava a Casa Vittoria per tutte le mondine che arrivavano, era brava in cucina. Conosce papà e nel 1933 si sposano. Noi siamo nati in un casale che stava tra viale di Porto e via dell’Olivetello dove c’era una pizzicheria in cui lavorava mamma. Papà aveva un altro localino di Scossa più avanti.
Quando la prima trattoria?
Nel 1942 siamo andati a Focene in un locale di Carpentieri, papà lo ha preso in affitto, dormivamo e lavoravamo lì. Veniva un cacciatore, un certo Stacchini, portava la selvaggina e mamma gliela cucinava. Era una piccola trattoria, io sono del ’36 e Luigi del ’34, andavamo a scuola a piedi a Fiumicino. Quando bombardarono a Roma San Lorenzo gli aerei passavano sopra di noi, facemmo una buca e ci nascondemmo sotto. Poi arrivò lo sfollamento, prima ci trasferimmo a Maccarese poi in bicicletta alla Giustiniana da una zia.
E dopo la guerra?
Papà aveva sempre i suoi Botteghini e prese in affitto da Gasparotto la trattoria. Ce ne erano due di locali, una la chiamavano il ‘Piantone’ e veniva gestita direttamente dai Gasparotto. Poi, accanto alla ex pensione Cervia c’era un grande salone da ballo con dietro l’orto. Lì davanti c’era la partenza dei pullman e dalla fine della guerra, ’43-’44, fino al 1950 siamo stati lì. Veniva tanta gente, non c’erano tanti ristoranti a Fregene, c’era solo la Conchiglia, Gasparotto e noi. Tutti i mezzadri venivano a giocare a bocce da noi. Poi papà volle imparare dal vecchio Serafini ad ammazzare i maiali e aprimmo anche una norcineria sempre lì. Papà non stava fermo un attimo e prese anche la distribuzione di bibite e ghiacci da Morelli e aprì un deposito in via Varazze. Io allora avevo il compito di fare il parcheggiatore delle biciclette mentre Luigi stava al bar.
E quando vi siete trasferiti in via Portovenere?
Papà nel 1947 era riuscito a comprare un terreno tra via Portovenere e via Numana e iniziò pian piano a costruire la casa ristorante. Nel 1950 ci trasferimmo, la svolta avvenne nel 1951 quando riuscimmo a prendere la licenza invernale.
Nacque allora la Trattoria Angelini?
Non ricordo bene se già ci chiamavamo così quando eravamo al cantiere ma certo è stato quello il momento più importante.
Com’era allora la Trattoria?
C’era una piccola cucina al piano terra, poi un salone e sopra le camere dove dormivano tutti insieme, poi all’aperto avevamo la Pagoda di paglia con intrecci di canne. Mamma stava in cucina, papà andava a caccia e noi aiutavamo dove serviva. A quei tempi si mangiava soprattutto lasagne e pollo, solo dopo, negli anni ’60 è arrivato il pesce. Avevamo lasciato la norcineria e le bevande ma contemporaneamente c’era anche la ditta dei trasporti che papà aveva avviato portando la frutta con il furgone.
Come sono stati quegli anni?
Splendidi. Veniva tanta gente, il sabato e la domenica eravamo sempre pieni, si lavora continuamente senza interruzioni. Avevamo una clientela meravigliosa, Fellini era di casa, abitava vicino a noi, faceva il vialetto a piedi e mentre arrivava domandava ad alta voce a mia madre: “Allora che si prepara di buono oggi?”. Giulietta Masina ci lasciava il cancello posteriore della loro villa aperto, quando invita ospiti eravamo noi a preparare. Ma siccome voleva che la gente pensasse che aveva cucinato lei, non ci facevamo vedere. Flaiano, Mario Riva mangiavano da noi, un giorno si presentò anche Walter Chiari, erano le 14.30 di un pomeriggio, arrivò in costume e ciabatte e chiese a mio padre se si poteva ancora mangiare. Papà gli rispose: “Sì, ma se ti vai a vestire”. Da allora non l’abbiamo più visto.
Nel frattempo avevate messo su famiglia?
Sì, Luigi aveva sposato Lina Burattini e io Ilva Maria Petocchi, entrambe erano entrate subito ad aiutare nell’attività. Continuavamo anche con i trasporti che non abbiamo mai lasciato. E in più a un certo punto presi una licenza di pesca, avevo un pattino a motore al Capri e la sera andavo a calare le reti e a ritirarle il mattino dopo, prendevo tanto pesce, spigole, mazzancolle, marmore, che poi freschissime cucinavamo al ristorante.
Ma riuscivate a dormire?
Poco. Gianni preparava tutto, io stavo in sala o in cucina dove serviva. Ma avevamo anche tanti collaboratori. Tutta la famiglia faceva grandi sacrifici. Ricordo che quando a un certo punto stabilimmo, dopo tanti anni, di fare il giorno di riposo settimanale sembrava incredibile avere 24 ore libere tutte per noi, era una festa. Anche i nostri figli ci hanno aiutato tanto, Lorella, Letizia, Luisa, Piero e Daniela, tutti hanno lavorato tanto e sono stati bravi anche a studiare.
Quando la decisione della chiusura?
Con Luigi avevamo sempre detto: “Lavoriamo fino ai 50 anni e poi smettiamo”. Ma non ci riuscivamo mai. Eravamo ormai alla soglia dei 60, papà lo avevamo perso nell’86, mamma non stava più bene, i figli studiavano. Nel 1990 prendemmo la sofferta decisione e Luigi riconsegnò al Comune quella licenza invernale presa nel 1950. Io ho continuato fino al 2002 con la società dei trasporti.
Vi siete mai pentiti di questa decisione?
Mai. Era un sacrificio enorme che assorbiva tutte le nostre famiglie, si viveva solo per lavorare. Solo dopo in qualche modo abbiamo cominciato a vivere, a fare qualche viaggio, a vedere il mondo a stare vicino ai nostri affetti. È stata la scelta giusta, la Trattoria Angelini ha svolto il suo compito, quello che potevamo fare è stato fatto, senza rimpianti.