A fine estate lascerà il negozio. Anzi, la “bottega” come dice lui. Dove è entrato per la prima volta il 29 settembre del 1966, “Quando è nata la famosa canzone”, spiega. Erminio Carniel in quella macelleria di via Numana 33 ha passato la stragrande maggioranza delle giornate della sua vita. Cinquantasei anni, ai bei tempi lavorando anche 20 ore al giorno. E se fosse stato per la sua volontà ci sarebbe rimasto ancora a fare il lavoro di cui è da sempre innamorato. Ma le gambe non sono più così agili e allora meglio fare il nonno e godersi figli e nipoti a casa.
“Bel de zio”, mancherà a tanti, di sicuro a noi della redazione di Qui Fregene che siamo al civico 31 della stessa via.
Allora Erminio, che farai dopo?
Fino a fine estate sarò qui, poi mi dedicherò alla famiglia per la quale non c’è mai stato tanto tempo dopo il lavoro.
Come è cominciato tutto?
Ho sempre avuto una grande passione per questo mestiere. Mio padre Ettore faceva il norcino a casa, macellava i maiali della zona tra Maccarese e Fregene e poi li trasformava in insaccati. Era sopravvivenza allora ma io mi incantavo a guardarlo. Per caso un giorno venne da noi Nino Balliana a chiedere a papà se gli arrotava i coltelli. Quando mi ha visto, allora ero un po’ cicciotello, disse: “Questo ha la faccia e il fisico da macellaio, perché non me lo mandi in negozio?”. Da quella volta ho lasciato perdere la scuola, ero in seconda media, e sono volato a imparare il mestiere entrando a 14 anni in via Numana 33. D’inverno ci adattavamo anche a lavorare la mattina presto dentro al forno, che era sempre loro”.
Quando hai rilevato l’attività?
L’ho gestita in affitto per 3 anni dal ‘73 al ‘76, poi a ottobre l’ho comprata. Lo stesso anno in cui con Rosanna ci siamo sposati.
Come hai conosciuto tua moglie?
Tramite un’amica, Anna la figlia di Maggiorino. Anche se in realtà da ragazzini ci eravamo già visti quando andavamo a scuola e lavoravamo l’estate, io in frutteria da Gidone, lei in un’altra frutteria da Martini. Una sera, andando a ballare, Anna mi ha detto “porto un’amica”. Ci siamo conosciuti e non ci siamo più lasciati.
Come furono quei primi anni di lavoro autonomo?
Splendidi, cominciammo a puntare sui prodotti pronti a cuocere, prima con nostre polpettine, poi ampliando ad altri preparati. Insieme a Lorenzo D’Angelantonio abbiamo persino inventato la pizza di carne, un’idea nata una sera che eravamo andati a mangiare la pizza da Elen, dietro al Bar delle Sirene.
Hai avuto subito successo con quei prodotti?
Sì, un successo enorme, ancora adesso. È stato quello che poi mi ha fatto mantenere in piedi il negozio, altrimenti non ce l’avrei fatta con il sistema di alimentazione moderna, la cucina di oggi e i supermercati.
Che ricordi hai di quel periodo?
Ho avuto una clientela straordinaria. Ricordo Gigi Proietti, veniva la moglie con le figlie piccole, più di qualche volta gli abbiamo fatto la consegna a casa. Aveva preso una villa in affitto a via Sestri Ponente, lo sentivamo che faceva le prove, cantava. Poi Giuliano Gemma con tutta la famiglia, la moglie e le figlie. Veniva spesso con lui anche Nino Benvenuti.
Altri clienti?
Gabriella Ferri che aveva preso casa a viale Castellammare, il mago Silvan, Nancy Brilli, Gino Bramieri si sedeva sulla nostra panchina. Una volta è entrato anche Marcello Mastroianni a comprare una fettina di carne.
Fellini e la Masina abitavano qui vicino, venivano?
La Masina è stata una delle clienti più assidue che ho avuto, l’ho servita per tanti anni, nella prima casa di via Portovenere e poi in quella di via Varazze. Vicino a loro c’era la casa di Salvato Cappelli, avevano i giardini confinanti. Veniva insieme alla signora Cappelli a fare la spesa, mi chiedevano consigli sui tagli di carne, anche alla Masina piaceva cucinare, era molto brava a riconoscere la carne.
Fellini lo incontravi?
Veniva qui accanto dal barbiere Memmo, si metteva seduto ad aspettare il suo turno con il giornale davanti, lo leggeva ma ascoltava anche quello che diceva la gente perché incamerava tutto per i suoi film. A volte si incontrava proprio qui con Flaiano, lui sempre con il sigaro in bocca. Magari uno si faceva la barba e l’altro i capelli. Si facevano lunghe chiacchierate sul marciapiede. Anche dopo la morte di Flaiano la moglie Luisa continuava a venire qui a fare la spesa, a volte si portava la figlia Lelè in carrozzina.
Fregene com’era in quel periodo?
Era un qualcosa di meraviglioso, c’era un rapporto quasi familiare con i clienti.
Alcune strade non erano nemmeno asfaltate, come via La Plaia dove abitava un altro grande personaggio come Vassalli. Ricordo anche Toni Binarelli che ultimamente stava poco bene, veniva la moglie, lui si affacciava di rado, sempre col sorriso, operato all’anca dopo di me mi chiese notizie dell’intervento.
Quando è cambiata Fregene?
È iniziata a cambiare intorno al 2000-2005, fino ad allora ha retto benissimo, c’erano ancora famiglie facoltose, avevano dei valori sotto tutti i punti di vista, ancora ce n’è qualcuna. Gente che si è venduta la villa vent’anni fa ancora oggi di passaggio viene a salutarci, a me e a Rosanna.
Nel tuo lavoro qual è stata la soddisfazione maggiore?
Sono sempre stato innamorato del mio lavoro. Le più grandi soddisfazioni erano proprio nel ricevere i complimenti per le preparazioni, per come allestivo le vetrine. Quando se ne vendeva tanta, si facevano delle grandi mostre, mettevo delle foglie, della frutta. C’erano dei clienti che passavano soltanto per vedere la vetrina. I complimenti per la qualità del lavoro fanno sempre piacere.
Oggi come va questa professione?
I giovani purtroppo non ci pensano proprio a impararla, è un mestiere che richiede tanti sacrifici, passione, dedizione. Entri in negozio alle 8.00 ed esci la sera alle 20.00. Ma ho fatto anche 20 ore di lavoro continuato, dalle 4.00 fino a mezzanotte. Forse adesso ne sto pagando lo sforzo, ma non rimpiango niente e rifarei tutto da capo, compresi gli sbagli che mi hanno aiutato, mi hanno insegnato qualcosa anche sulla vita. Non rinuncerei a niente di quello che ho fatto.
È stata una bella esperienza?
Una grandissima esperienza, è la mia vita. Ci ho messo tanta passione, la famiglia mi ha aiutato, seguito e ancora mi aiuta. Questo mestiere ancora lo amo, se avessi le possibilità fisiche continuerei ancora, magari a dare un aiuto a qualche amico. Purtroppo il fisico non me lo permette più.
La cosa che più ti mancherà?
Il rapporto umano con la gente, sicuramente quello.
Vogliamo fare un saluto?
Saluto e abbraccio tutti, dal più grande al più piccolo dei clienti che ho avuto. Ringrazio tutti perché mi hanno insegnato tantissime cose sulla vita. Parlando, discutendo, è servito tutto. Come nel mio mestiere di macellaio, della vita non si butta via niente.