di Lorenzo D’Angelantonio

Sgombriamo il campo dagli equivoci: la notte prima degli esami (in verità si tratterebbe di una riunione tra compagni di classe nella prima serata)  l’abbiamo inventata noi alcuni anni prima che venisse pubblicata la canzone omonima di Venditti.

Così come le cene e gli incontri tra ex studenti della scuola di Ragioneria, allora Giuseppe di Vittorio sez. staccata di Maccarese oggi Paolo Baffi, furono una più o meno piacevole consuetudine tra di noi negli anni successivi. Con tutta la malinconia che ciò comportava …

Ma torniamo agli atti: dopo incontri preparatori interminabili a casa mia (che sembrava davvero un Parlamento) arrivammo a Ladispoli per iniziare i tanto attesi esami di stato.

Non sto qui a raccontate quanto furono splendidamente affrontati e superati da me e dai miei “colleghi”. Considero solo che mai come quella volta ‘entrai Papa in conclave e ne uscii…papà, davvero.

Migliore della scuola e menzione per la mia tesina di esame inviata al ministero.

Non sono qui a vantarmi o cucirmi medaglie, perché poi la mia medaglia è aver dimostrato, se ce ne fosse stato bisogno, di saper aiutare chi mi era a fianco, amico o sconosciuto che fosse, mostrando l’altruismo che mi era stato insegnato.

A dire il vero io un po’ di amaro in bocca ce lo avevo, a parte il dolore per il primo lutto vissuto per la morte della mia adorata nonna Letizia proprio in quei giorni.

Netta infatti era la sensazione che io percepivo inequivocabilmente che stava per chiudersi una parentesi della mia vita dove tutto sembrava riuscirmi facile.

Penso anche che il mio papà, orgogliosissimo di quel figlio così capace a scuola, tanto da vincere tre borse di studio consecutive, avrebbe poi in seguito fatto I conti con delusioni e grandi preoccupazioni che gli avrei procurato con una serie di decisioni frutto di impulsività e ansia da paura di sbagliare.

Ecco dunque che i nostri insegnanti, oggi come allora meravigliosi ai miei occhi, avrebbero dovuto insegnarci a gestire i momenti di non trascurabile felicità che stavamo vivendo.

Angela, Giovanna, Lucia, Maria Rita, Nino, ma anche Peppino, Laura e Francesca e Dino, Luigi, Ovidio, avrebbero dovuto costringerci a passare ancora del tempo, magari solo un mese, tutti insieme, liberi e felici promettendo a noi stessi che avremmo evitato che la vita ci potesse piegare più di tanto.

Giurandoci fedeltà nell’amicizia, un sentimento che in quel lustro di tempo avevamo ben imparato a mettere in pratica.

Forse è per questo che non ho mai vissuto la fine della scuola come liberazione.

Dirò ancora di più: ricorrentemente continuo a sognare di essere di nuovo nella mia aula con compagni di classe molto più giovani di me a ripercorrere il mio ultimo anno di studi.

E non mi sento affatto a disagio.

Anzi, torno a essere davvero felice…

P.s.: la foto, una delle poche di quel periodo, è relativa alla nostra manifestazione per la scuola lungo le strade di Maccarese e Fregene. In compagnia dei nostri prof e di alcuni dei nostri genitori.