Durante il periodo invernale al Villaggio dei Pescatori la vita si riduce ai soli residenti. Quattro gatti umani e molti di più a quattro zampe. Ne girano parecchi nei vicoletti, tra i passaggi, aspettando che qualcuno torni dal mare con un succulento pesciolino. Le uscite diventano sempre più rare e spesso le condizioni non sono ideali per uscire in mare col windsurf. È proprio in quel periodo che mi viene la voglia di partire per raggiungere luoghi caldi; nel periodo invernale, infatti, per quanto questo abbia il suo sapore con i suoi colori e paesaggi, l’aria diviene fredda e a me di coprirmi troppo non piace; il mio vestiario ideale sono pantaloncini, maglietta e infradito. Come ogni anno, dopo le festività natalizie trascorse in famiglia, mi sale la voglia di partire alla scoperta di nuovi paesaggi, conoscere genti di culture diverse e andare in mare in windsurf o a nuotare o a pescare per provare nuove emozioni.
Le Filippine sono quest’anno la meta prescelta alla ricerca dell’amico Alessandro Landi il quale è latitante da due anni e nessuno sa dove se ne sia andato. Dopo alcune indagini personali sono riuscito a trovarlo e lui, sconvolto dalla sorpresa di rivedermi, mi abbraccia e mi accoglie in casa offrendomi un gustoso e profumato caffè.
L’isola vive completamente nel suo mondo: i rumori, i profumi, i suoni e il canto dei galli. Ho trovato un bungalow proprio di fronte a quello di Alessandro, così ci possiamo scambiare l’aglio quando serve e rimaniamo senza. Lui sta lì già da due mesi con la sua ragazza Arline, una giovane filippina/americana, esile, gentile e simpatica oltre che carina. Ha anche un windsurf lì dietro casa che non usa da molto tempo, anzi dice “se vuoi usarlo tu, ne sono contento”. Il lato est di Baracay è il più battuto dai venti, le alte palme arrivano quasi fino alla riva. Il fruscìo che provocano con il vento è un sottofondo soave. Si chiama Bolabog questa zona; saranno trecento metri dalla casa di Alessandro fino alla riva di Bolabog; camminando a piedi nudi, con la tavola e la vela sulla testa, mi faccio tutto lo stradello in terra battuta e sabbia che attraversa la laguna per finire fino alla riva. Il vento, da questo lato, a volte arriva anche a più di 25 nodi. Normalmente sono i venti termici di 18/20 nodi a spingere appena dopo metà giornata. La grande baia è protetta da un reef che vedi là fuori dove c’è quella riga bianca perché frangono le onde trovando il basso fondale. Da riva saranno in linea d’aria circa 600/800 metri. I colori variano in sfumature da blu, azzurro, verde smeraldo, acquamarina e passano sotto la tavola da windsurf che ora sta planando a tutta manetta, in un’ alternanza spettacolare. La vela 5.8 di Alessandro sembra perfetta, mi godo i colori infuocati del tramonto dietro le palme; una magìa essere qui da solo in windsurf e planare da un lato all’altro della baia tra strambate, 360, arial jb e cheese roll. Il paesaggio mi incanta e a volte me ne accorgo dopo un po’, quando la bocca si fa secca, che sono rimasto lì imbambolato con le mani sul boma, mentre guardo il cielo rosso fuoco in contrasto con le palme controsole e l’azzurro dell’acqua marina che sta davanti alla mia tavola.
La giornata è lunga, il vento tira forte fino a tardi, ma io quando sento che arriva la fame e sono soddisfatto delle mie due orette, prendo la tavola e la vela sulla testa e mi rincammino verso la dimora. Passando davanti alla casa di Sandrone e Tonino faccio sempre la prima sosta: un saluto e una birretta insieme per rinfrescarci. In una casa fatta di bambù e paglia sul tetto, con i gechi che ti scrutano da lassù, qui vivono questi due uomini partiti già 6 anni fa dall’Italia; Tonino ha messo su famiglia sposandosi con Milù, una donna locale, e hanno un figlio bello e sano di nome Nijo, mentre Sandrone abita di fronte nel suo bungalow; si scambiano commenti tra una veranda e l’altra, lamentandosi sui cani che abbaiano di notte e i galli che cantano già dalle 3 del mattino.
Qui a Boracay sembra che questo sia il luogo adatto per accogliere soprattutto Yuppies e Viaggiatori. La sera ci si riunisce a casa di Claudio e Lella, loro sono dalle parti di Genova. Ogni sera dopo cena, ci si radunano una ventina di persone tra locals e viaggiatori che, mentre fumano il cylum della pace, si raccontano di fatti e di storie accadute. Si parla in inglese, a volte mi concentro per capire, ma troppo presto perdo l’attenzione e mi cala l’occhio, ancora non capisco bene la lingua anglosassone. Quindi, ormai stanco, in alcuni tratti quasi a tastoni mi incammino verso il mio giaciglio; alcuni pezzi dello stradello che separa la casa di Claudio e Lella da quella dove abito io sono completamente al buio, a volte con pozze d’acqua se ha piovuto in giornata. Mi scordo sempre di portare la torcia e me ne ricordo puntualmente quando ritorno di notte verso casa. Una volta, brancolando nel buio, sono entrato in un recinto, a fianco di quello della mia abitazione, dove ci stava un grosso maiale, ho scavalcato al volo… che paura che mi ha messo! ha fatto un grugnito che sembrava lo stessero scannando, deve aver preso anche lui un bello spavento. La porta della mia camera è chiusa con un lucchetto, la chiave sta sempre lì dietro al vaso; all’interno un letto ad una piazza e mezzo avvolto in una zanzariera che parte a raggiera dal soffitto, un armadio, un tavolino, una poltrona e un attaccapanni.
La luce fioca della candela illumina la stanza mentre in fretta mi spoglio, stramazzando tra le lenzuola inumidite dall’aria .
La mattina i galli la fanno da padroni, ce ne saranno centinaia che si scambiamo il buongiorno. È un susseguirsi di botta e risposta; qui con i galli ci fanno i combattimenti, è un’usanza locale, quindi ce ne sono molti e pure incazzosi. Di cani ce ne sono meno, anche perché quelli neri se li mangiano, un’ altra strana usanza dei Filippini…chissà poi perché quelli neri? Un giorno successe che un uomo conosciuto lì da un po’ mi volle regalare un cane vivo, da mangiare dopo una settimana per il mio compleanno. Chiaramente rabbrividii al pensiero del mio Lillo e lo feci sparire donandolo ad una famiglia che viveva in una zona poco lontana che mi salutò giurandomi di non mangiarlo.
Le mattine quindi cominciano lentamente, dopo essere uscito di casa, sempre con il windsurf sulla testa, mi fermo a casa di Claudio e Lella che è di strada per un caffè, il buongiorno alla maniera nostra, e poi via verso Bulabog dove il vento è già arrivato, lo sento dal suono del fruscio delle palme …scccccccc. È un parco giochi dove le ore passano con una velocità incredibile, faccio una sosta a casa dei ‘Dos Amigos’ Tonino e Sandrone per un pranzetto al volo e una birretta. Ogni sera al rientro, ancora gocciolante, mi fermo per un po’ da loro per scambiare due chiacchere sulla giornata e metterci d’accordo per la cena. I due amici hanno comprato il terreno insieme e costruito due bungalow, un pozzo e una ‘septic tank’, da poco hanno anche messo una ventola generatore per illuminare le case di sera. Si trovano bene qui in tranquillità, a volte fanno dei lavoretti, ma per la maggior parte i loro giorni sono spesi a socializzare e raccontarsi fatti e notizie provenienti da tutte le parti del mondo, ci sono molti viaggiatori nell’isola. Sandrone mi parla spesso di vela, lui ha fatto un corso a Les Grenoun, gli piace molto la vela e vorrebbe con me un giorno fare il giro dell’isola con un Parau, dice di averne uno adatto allo scopo che non usa da parecchio tempo. Ci dovremmo mettere le mani e vedere come sta messo, se funziona tutto, se le cime e la vela sono a posto.
Le sere sono quasi sempre le stesse; ognuno cena a casa o insieme a qualche amico e poi ci si riunisce a casa di Claudio e Lella, per finire nel perdersi in discorsi a volte anche filosofici. Puoi immaginare che tra la stanchezza della giornata, la cena e le vampate di fumo che arrivano, da lì ad un’ oretta vado verso la mia bella stanzetta a riposare. A volte c’è una qualche festa; li è impegnativo e bisogna andarci belli riposati, si beve parecchio e si balla spesso per una notte intera fino all’alba, per il piacere dei malcapitati vicini che si trovano in zona. Il gruppo elettrogeno per procurasi l’energia elettrica già di suo fa rumore, poi i 500W che escono dalle casse al suono di ‘Hotel California’ aprono le danze per una nottata in bianco. Le luci viola, rosse e blu mimetizzate tra i cespugli creano un’ aria da sogno, anche per via della quantità di birre bevute. Si balla e si socializza sopra questo enorme terrazzo sulla la baia di Bulabog cosparso di cuscinoni, ci si sdraia o ci si siede a piacere.
È chiaro che dopo la festa ci vorrà minimo, se va bene, un paio di giorni per riprendersi.
Già si pensa alla cena di domani, mettendosi d’accordo sul menu. Qui siamo italiani per la maggior parte e la cena è un momento sacro da celebrare come si deve: gnocchi, fettuccine o spaghetti ai frutti di mare? Il giorno dopo Sandrone mi passa a chiamare per provare la barca e per verificare che tutto sia a posto. Sulla spiaggia, sotto una grossa palma, ecco ‘Dedè’ il Parau di Sandrone, tinto di bianco un po’ impolverato di sabbia alzata dal vento notturno cross shore. Issiamo il boma su con la drizza, i rudimentali bozzelli scricchiolano su una grossa corda di canapa fermata da una bitta alla base dell’albero. La randa è stata ricavata dal tessuto dei sacchi di riso, una sorta di cotone grezzo, ben cuciti tra loro, i due boma di bambù ben tesi stendono una vela triangolare di almeno 9mq. Il Parau è un’ imbarcazione ricavata da un grosso albero scavato all’interno da mastri d’ascia eccezionali; ne esce fuori una specie di piroga dove ai lati, per mezzo di due bilancieri, vengono collegati dei grossi bambù che la sostengono nei momenti di pressione; sono barche alquanto rozze anche se qualcuno, si vocifera, ci ha messo su vele in dacron e bozzelli harken. Ci sono sempre, in tutti i campi, gli esagerati, che guastano la poesia della semplicità di tale tradizionale opera d’arte ricavata da materiali naturali e riciclati. Usciamo in mare con Sandrone al timone; io gli regolo il fiocco mentre lui seduto sulla poppa del Parau è intento a mantenere la rotta… dopo un breve giro di prova mi sembra tutto a posto. Tra due giorni allora facciamo il giro, vediamo il tempo, ma dovrebbe essere buono. Partiamo verso le 10, penso che in tre ore ce la dovremmo fare; non l’ho mai vista l’isola dall’altra parte, quella a sud, e tantomeno quella a nord a parte quel lato che ho fatto quando sono arriato da Caticlan il primo giorno, un villaggetto sulla terra ferma, punto estremo più vicino a Boracay da dove partono e arrivano le barche che trasportano i passeggeri verso e via dall’isola. Questa mattina il vento è ideale, viene da NW, faremo solo una bella bolina fino al Caticlan poi girata la punta è tutta una passeggiata di godimento con il vento alle spalle. Il pezzo in mezzo al canale è quello più tosto, la barca per fortuna tiene le forti raffiche, gli outtrigger scricchiolano affondandosi sotto l’acqua. L’isola è ancora più incantevole a vederla da qui, gli spruzzi e il sibilo del vento sulle cime fa da sottofondo alle bestemmie che tira giù Sandrone quando gli arrivano i rafficoni ai quali deve rispondere lascando la scotta per evitare di stressare la barca. La costa sud poi, con quei colori di verde della collina, le baiette nascoste blu e smeraldo dalla bianca sabbia attirano la nostra attenzione per una sosta. Approdiamo in un’ oasi di pace, la natura e la bellezza tutta intorno. C’è chi ci viene incontro, un uomo dalla folta barba che ci offre del cocco appena raccolto, beviamo di gusto; la bocca arsa dal vento caldo sa di sale. Controllato nuovamente il “parau”, strette le cime di fissaggio dei bilancieri, che nel frattempo di sono un po’ allentate bagnandosi, riprendiamo il mare. Il vento da terra leggero e gentile ci fa sfilare lungo la costa frastagliata in una natura verdeggiante da dove solo il leggero fumo di una casetta esce fuori dalle fronde delle palme. In un paesaggio sempre più popolato ci avviciniamo a ‘white beach’ da dove già i suoni e il vocìo si fanno sentire. Siamo tornati fino all’approdo, rimessa la barca al suo posto bella sistemata e coperta da un telo. Io e Sandrone, contento come difficilmente lo vedo, ci incamminiamo verso casa tra i vicoletti incrociando e salutando conoscenti e locals che lui conosce bene. I giorni passano veloci, a volte in acqua a Bulabog c’è anche un altro windsurf, è un italiano che vive lì da alcuni anni, ci divertiamo insieme incrociandoci e lanciando urla inumane. Purtroppo è arrivato il momento di tornare, sono passati due mesi di volata. Comincio a pensare a Fregene in marzo, ancora fresco, quando l’acqua del mare sarà massimo 13 gradi, rabbrividisco al solo pensiero. Ma come accade sempre le vacanze finiscono e tornare è comunque piacevole nel nostro luogo, con amici cari e amiche care; rivedere Natascia sarà una gioia.