È il giorno di San Valentino. Ricevo un messaggio su facebook: ti ricordi di me? Incredibile! Il fusto alto 1,94 che sollevandomi tra le braccia mi aveva fatto toccare il cielo con un dito, che mi aveva riempito la testa con i “ti sposo” e che io avevo chiuso a due mandate dentro il baule delle cianfrusaglie, si era dato una rinfrescatina. “Hai fatto bene a lasciarmi” scrive. Lui era stato, non io. Il vantaggio della cattiva memoria è che si gode parecchie volte delle stesse cose come per la prima volta. “Sei stato tu a far volatilizzare il nostro amore insieme a me vestita di zucchero e nuvole” rispondo. Ci siamo incontrati dove tutto era iniziato. Il tempo non è solo galantuomo anche un gran chiacchierone e per parlare non ha bisogno di essere interrogato, è il più saggio di tutti i consiglieri.
Che cosa ho provato nel rivederlo? Mi batteva il cuore, eppure non potevo esserne innamorata, forse era la paura di appannare il ricordo con la realtà del mio essere donna e non più una ragazza. Non era l’emozione di ragazza, né la rabbia che di solito muove la vendetta seppur solo verbale. Una rivincita? Questo desideravo? Farlo pentire, sconvolgergli la testa e il cuore? Ero una donna diversa, sicura di me, intenzionata a dimostrare non a mostrare. Look elegantissimo non adescante. Ero la Sabrina del film che torna da Parigi e che nessuno riconosce come la figlia dell’autista. Sofisticata, distaccata, sorridente, disposta ad ascoltare quelle ragioni che allora non aveva espresso lasciandomi l’amaro in bocca e pensando che qualcuna avesse potuto amarlo più di me. Ha parlato soltanto di se stesso e del suo non comprendere il mondo femminile. Dopo due divorzi aveva paura della solitudine. Che tenerezza! Io mi sentivo una tigre e per nulla preoccupata della solitudine che su di me aveva avuto tutt’altro effetto. La mia aveva sviluppato la creatività, l’amore per la bellezza, per l’arte, la mia solitudine non era una cella intollerabile.
(continua…)