Il tumulto del cuore fa impastare la lingua. Lui ride, non sa che cosa dire, io sorrido e lo invito a lasciare la stazione, il luogo del nostro appuntamento. Aveva parcheggiato la sua macchina bellissima, mi ha detto anche di che “razza” era, ma chi se lo ricorda? Non sono mai andata più lontano della bicicletta, mai avuto il culto di certi status symbol mentre lui era il gigione che scorrazzava da una facoltà all’altra con il suo bolide per fare scena. Si pavoneggiava come l’irresistibile di turno, per fa’ il cretino gli dicevo. Io studiavo filosofia, lui medicina. Lui pochi esami in verità, io con la borsa di studio, mio padre non poteva mantenermi agli studi. L’intelligenza e il buon senso non vanno d’accordo con le cotte d’amore, sono a tanti chilometri di distanza, mentre vicina, molto vicina è l’imbecillità assoluta. Il vedersi come non si è, il voler cambiare l’uno e l’altro, far diventare il ricco lo straccione e il povero il benestante. Tutte fregnacce che portano alla fine, perché l’amore vuole essere incosciente.
Percorriamo la via principale della cittadina di provincia dove io avevo abitato e che lui raggiungeva in macchina il fine settimana. Gli altri giorni ero sempre in treno su e giù per seguire le lezioni all’università e incontrarlo. Poi il cervello non stava più al suo posto, mi venivano i sudori e non vedevo l’ora che il prof pronunciasse la fatidica frase: alla prossima cari ragazzi e non siate assenti alle lezioni, la filosofia bisogna viverla non studiarla. Ma che me ne fregava delle contorsioni del pensiero di quei pazzi scatenati che si illudevano di aver scoperto il segreto della vita. L’amore era il vero segreto e neppure gli innamorati riuscivano a scoprirlo. Avevamo gli occhi addosso dei passanti, era evidente l’impaccio, tipico dei clandestini, di chi si piace e tanto pure. Scegliamo un caffè per sederci e dare seguito al Ti ricordi di me?
(continua…)