Le cronache degli ultimi mesi hanno riportato all’attenzione di tutti gli italiani la pericolosità della malaria, una malattia che ormai, almeno in Europa, era stata debellata, sconfitta in maniera definitiva. Il mondo dell’informazione ha utilizzato ogni tipo di tecnica giornalistica per non allarmare la popolazione italiana ma, seppur circoscritta, la malattia che tanto ha infestato e ucciso nell’Agro Romano, sembra ancora far molta paura. In questo articolo ripercorriamo brevemente la genesi della lotta antianofelica nel nostro territorio, condotta attraverso l’impegno di quei medici come Angelo Celli che, attraverso studi scientifici mirati e impegno sociale sul territorio, contribuirono ad eradicare il “grande flagello”, costruendo nella Campagna Romana nuove condizioni igienico-sanitarie e nuove speranze socio-economiche.
Angelo Celli, per anni, nonostante gli eccellenti risultati, si rammaricò spesso della scarsa attenzione che gli storici riservavano alla malaria e alla sua terribile forza distruttrice. “Eppure alla malaria, che tanta e così deleteria influenza ha nella vita dei popoli di ogni località dove essa regna, non hanno dato gli storici quell’importanza che merita nella genesi degli avvenimenti umani. Eppure anemizzando e sfibrando gli organismi, ne scema e perfino ne sopprime ogni energia, e dov’è grave, uccide e spopola campagne e città”, con queste parole sottolineò al contempo la pericolosità della malaria e la necessità da parte degli studiosi di una maggior attenzione verso la malattia.
Dalla fine del XIX secolo l’impegno dei medici, in particolar modo di quelli italiani come Angelo Celli, contribuì ad una maggior comprensione della “mal’aria”, arrivando a provare che la malattia è dovuta ad un piccolissimo essere che vive e si riproduce all’interno del sangue umano e che, attraverso la puntura della zanzara Anofele, viene trasmesso all’uomo provocando così l’infezione malarica e le terribili febbri che rendevano impossibile la vita dei lavoratori nell’Agro Romano.
L’Anofele, attraverso la sua puntura, inocula nel sangue umano il parassita della malaria, il quale, si riproduce nel sangue provocando l’infezione. Tutti coloro che nella Campagna Romana contraevano la malaria manifestavano brividi di freddo intensi e una repentina elevazione della febbre. Dalla durata della febbre si potevano riconoscere diversi tipi di malaria, più o meno gravi.
Ad esempio, quella che si manifestava un giorno sì ed uno no veniva chiamata terzana, quella che appariva due giorni no ed uno sì era la quartana, la febbre, invece, che si palesava in modo irregolare era detta malaria grave, perniciosa o estivo-autunnale. Purtroppo, chi veniva colpito dalla perniciosa rischiava la morte perché venivano colpiti organi vitali come i polmoni e il cervello. Gli effetti della malaria erano devastanti e, la prima statistica sanitaria in nostro possesso, quella del 1887, registrò quasi 21.000 decessi per malaria avvenuti solo in un anno.
Di conseguenza, la presenza umana nei luoghi dove c’era “mal’aria” divenne impossibile, pregiudicando anche lo sviluppo agricolo e commerciale delle aree colpite. Non si sarebbe mai potuta immaginare un’evoluzione demografica ed economico-sociale di ampie zone della penisola, senza il debellamento della malaria.
Quindi, alla luce della terribile azione della malaria sull’essere umano, figure come Giustino Fortunato, Leopoldo Franchetti, Angelo Celli, Ettore Marchiafava, Giovan Battista Grassi e altri ancora, diedero un impulso determinante per sconfiggere definitivamente il “grande flagello”. La lotta contro la malaria e la storia delle bonifiche laziali, dell’Agro Romano e Pontino, non si possono leggere senza comprendere appieno l’impegno dei medici che, nonostante le difficoltà oggettive causate dalla malaria e dalla sua diffusione, “scesero in campo” per sperimentare le ricerche fatte precedentemente nei laboratori.
Angelo Celli, in tal senso, è stata una delle figure più importanti e determinati per il risanamento dell’Agro Romano e, soprattutto, per una continua e parallela azione legislativa promossa dallo stesso medico di Cagli attraverso il Parlamento, vista come necessaria affinché tutti i progressi scientifici potessero concretizzarsi e diventare definitivi.Angelo Celli, nonostante i successi ottenuti e l’approvazione della legge n. 505 del 23 dicembre 1900 sul chinino di Stato, comprese che, senza una collaborazione attiva delle masse rurali, nulla sarebbe cambiato. Condividere le conquiste scientifiche e legislative con chi, come le masse rurali appunto, viveva ogni giorni i disagi e le conseguenze derivanti dall’abitare e lavorare in zone acquitrinose, insalubri e infestate dalle zanzare, era essenziale per una società agricola nuova, più sana e più forte. Intraprese un’importante azione volta a far comprendere e a far assimilare una nuova educazione igienica che, secondo lo stesso Celli, doveva essere trasmessa soprattutto attraverso le scuole.
Per questo, insieme con la moglie Anna Fraentzel, già presente insieme al marito nelle prime stazioni sperimentali antimalariche, e a un fedele gruppo di allievi e di medici del Comune di Roma, svolse tra i lavoratori della terra un’intensa attività di cura e di prevenzione contro la malaria.
di Paolo Palliccia