Domenica pomeriggio, ore 19.20. Sul lungomare siamo tutti in bicicletta sulla ciclabile incolonnati. Mio figlio davanti di una decina di metri, io dietro e mia moglie chiude la fila. Arriviamo a metà della parte sud della ciclabile, a un certo punto dal parcheggio interno di uno stabilimento esce sparata un’auto bianca, sfiora la bicicletta di mio figlio, che per fortuna aveva sentito il rumore del motore e aveva rallentato, e quella di un’altra bambina che procedeva in senso opposto. Si infila miracolosamente in mezzo, un decimo di secondo dopo e la frittata era fatta. Alla guida dell’auto, una Lancia Ypsilon bianca c’è una ragazza, sui 25 anni, parla al cellulare e non si è nemmeno accorta di quello che poteva combinare. Proviamo a gridare, tutti i ciclisti che in quel momento sono su quel tratto, ma lei ha i finestrini chiusi, continua a parlare al telefono e se ne va, forse fa finta o forse davvero non si è accorta di niente.
Poteva fare una strage, quantomeno mandare all’ospedale qualche bambino. Un misto di rabbia, paura e incredulità continua per ore a rimanere cucito addosso. Alcuni stabilimenti hanno messo delle tabelle che avvisano all’uscita gli automobilisti del pericolo ma è ancora poco, servono segnali luminosi, qualcosa di più evidente, un ulteriore azione concordata con la pubblica amministrazione. Il pericolo è reale e la sensazione è che solo il caso abbia finora impedito qualche grave incidente.