Venerdì 21 dicembre, per la rassegna cinematografica dal titolo “Freschi e stagionati”, l’associazione culturale “L’Albero” di Maccarese ha programmato la proiezione del film “Visage Village” di Agnès Varda.
Alla fine del film il tradizionale scambio di auguri per le feste natalizie.
Nella sala si troverà anche un banchetto dell’associazione 6 Orme, che opera da anni con i suoi volontari all’interno del canile Valle Grande. Chi è interessato, potrà acquistare ottimi dolci natalizi, il cui ricavato sarà utilizzato per cure e medicinali dei cani randagi ospiti del canile (e non solo).
Si raccomanda la massima puntualità: alle 21.00 inizierà la proiezione.
Sede: Casa della Partecipazione (via del Buttero – Maccarese).
Info: 339-4539950
SCHEDA DEL FILM
Ha ottantanove anni e fa film come se ne avesse ventinove. Agnès Varda, nello splendore dei suoi anni d’oro, è diventata una maga umanista. Qui fa squadra con JR, street photographer che deve la sua reputazione ai giganteschi graffiti urbani e potrebbe essere definito un equivalente gallico di Banksy. Lui è un hipster beffardo e sovranamente flemmatico di trentatré anni con l’immancabile cappellino e gli occhiali da sole, lei è una leggenda della nouvelle vague, caschetto di capelli bicolore e un volto che conserva la splendida gravità che l’ha sempre contraddistinta. Ma entrambi sono outsider dell’arte, interessati a esprimere visivamente la vita seguendo le proprie regole. Varda e JR, che collaborano alla regia, si mettono in viaggio con un unico liberatorio obiettivo: in ciascun luogo visitato JR creerà giganteschi ritratti in bianco e nero degli abitanti che andranno a ricoprire case, fienili, facciate di negozi, ogni superficie libera. Così facendo, doneranno grandezza a quelle persone. Non una grandezza da supereroi, ma una grandezza umana, da persone in carne e ossa quali sono. I due conoscono (e fotografano) operai, formaggiai, camionisti. È una ricognizione della Francia rurale, e le immagini che affiorano sono giocose, spettrali e belle e commoventi: Andy Warhol incrocia Walker Evans. Visages Villages lancia un potente messaggio sul tipo di società che stiamo diventando. La nostra dipendenza dalla ricchezza e dalla celebrità ha iniziato a svuotare il valore della vita normale, e il film dà una sublime strigliata a questo atteggiamento.
(Owen Gleiberman)
La meravigliosa libertà di Agnès Varda! La sua sincerità commovente. La leggerezza e l’allegria con cui fa cinema, e poesia, e memoria. Qui la questione non è mettere in scena una storia o un’idea, non si tratta di trasformare in film un soggetto, un progetto, una qualche morale o messaggio all’umanità. Il cinema ormai aderisce al suo corpo e ai suoi pensieri, sembra nascere mentre lo guardiamo (lo viviamo insieme a lei), è un’invenzione continua, che crea le sue regole in corso d’opera, reinventandosi instancabilmente, lasciandosi andare alla deriva delle digressioni (è un film che si diverte a smentire se stesso).
Stavolta si parte dall’incontro con l’artista JR, “fotografo di strada”, autore di gigantesche immagini che diventano murales. E il cinema-diario della Varda, che è vivo, vitale, mobile, malleabile, si lascia contaminare, dialogando (alla pari) con la sua arte e il suo strumento prediletto (d’altra parte lui è un fotografo che ha fatto anche un film e lei è una cineasta che ama la fotografia). Ed ecco un viaggio attraverso la Francia, utilizzando un camion che è un occhio che guarda, una macchina fotografica con le ruote (sviluppa gigantografie partorite da una fessura sul fianco). Ed ecco una nuova occasione per incontrare luoghi e storie, per testimoniare la vita semplice di persone e comunità che resistono.
In questo film nomade, rapsodico, pieno di immaginazione, capita di commuoversi fino alle lacrime, insieme alla signora che non vuole abbandonare la sua casa, dentro l’epopea dei minatori nel nord della Francia. Capita di ballare e di cantare, di ridere insieme ai due amici artisti che si prendono in giro e si vogliono bene. Capita di rimanere ammirati dal modo in cui dialogano luoghi, volti, fotografie.
Siamo dalle parti del magnifico Les Plages d’Agnès, dentro quella grazia e tenerezza. Di fronte a questo cinema, tutto il resto diventa improvvisamente grigio, arido, artificiale.
REGISTA
Fotografa, regista e artista, Agnès Varda è uno dei punti chiave della Nouvelle Vague francese, all’interno della quale si è imposta con titoli come La Pointe courte (1955) e Cléo dalle 5 alle 7 (1962), e uno stile che segue quello del realismo documentaristico-sperimentale, inglobante questioni femministe e una pungente critica sociale, portati parallelamente avanti fino agli Anni Ottanta (Senza tetto né legge, Les Glaneurs et la Glaneuse, Deux ans après) e oltre. Successivamente, seppur non perdendo mai di vista il suo punto d’origine, si interesserà largamente della concezione dell’arte nello scontro con la modernità tanto da essere celebrata per la totalità delle sue opere cinematografica con il Prix René-Clair de l’Académie Française, una delle più alte e prestigiose onorificenze del cinema d’oltralpe.
Gli anni senza caschetto
Nata come Arlette Varda il 30 maggio 1928 a Bruxelles, da padre greco e madre francese, si trasferisce a Sète con tutta la sua famiglia nei primi Anni Quaranta, vivendo in quella piccola cittadina tutta la sua adolescenza. Da sempre interessata alla fotografia, si iscrive all’École des beaux-arts di Parigi, dove prende dimestichezza con l’arte e ne scopre le infinite possibilità comunicative, proseguendo la sua istruzione all’École du Louvre, all’interno della quale, invece, studierà storia dell’arte. Con l’arrivo dei suoi diciotto anni, decide di cambiare legalmente il suo nome da Arlette ad Agnès. Sono gli anni in cui trova lavoro come fotografa al Théâtre National Populaire, allora diretto da Jean Vilar, e sono anche gli anni in cui adotterà il caschetto come sua pettinatura ideale (una pettinatura che non cambierà mai).
L’esordio cinematografico
Fortemente attratta dai temi e dalle disquisizioni artistiche della Nouvelle Vague si avvicina al loro movimento e lo abbraccia intellettualmente, diventando, in poco tempo, una delle sue più alte ed eccezionali rappresentanti. La conferma è data dal suo primo lungometraggio a soggetto: La Pointe courte con Philippe Noiret e Silvia Monfort, che fra l’altro aveva Alain Resnais come montatore. Il film, all’apparenza legato al genere sentimentale, è un punto di riferimento per le giovani menti del movimento. Amatoriale, girato in 35 mm, totalmente al di fuori dal cinema commerciale classico francese, è una cronaca neorealista della vita in un villaggio di pescatori.
Gli altri film
Cinque anni più tardi, arriva un altro piccolo gioiellino Cléo dalle 5 alle 7, un film su una cantante superba ma, mortalmente malata. Usando Jean-Claude Brialy come protagonista maschile, sancisce definitivamente la sua aderenza alla Nouvelle Vague, scrivendo e dirigendo lungo tutti gli Anni Sessanta titoli che arricchiranno e stimoleranno il dibattito come Salut a les cubains (1963) con Michel Piccoli, nato da un viaggio a Cuba fatto dalla regista fra il 1962 e il 1963, nel corso del quale scattò centinaia di fotografie a gente comune, artisti, poeti, musicisti e dirigenti del partito, creando un film di montaggio infervorato e pieno di calda energia. Dopo questo progetto, si lancia in Christmas Carole (1965), una pellicola che, però, non ha mai visto la luce a causa della mancanza di fondi (se non otto minuti mostrati alla Cinemateque Française alla fine degli Anni Novanta, alla presenza di colui che doveva esserne protagonista, Gérard Depardieu, e che, a quel tempo, non era mai stato diretto da nessuno). Si rifarà con Les créatures (1966), con Catherine Deneuve e di nuovo Piccoli, curiosissima mistery story drammatica raccontata con un linguaggio antitradizionale e ricco di ambiguità narrativa che, però, non lo priva di una delicatissima poesia visiva. Mentre otterrà l’Orso d’argento – Premio Speciale della Giuria e un Interfilm Award al Festival di Berlino per il solare e colorato Il verde prato dell’amore (1965), facendola definitivamente conoscere anche in tutto il resto dell’Europa.