Londra e New York sorridono ma non all’unisono. Far dire una battuta comica al gentleman inglese è come strizzargli le palle. L’americano se le strizza da solo e poi dice sto scherzando. In Italia la comicità è espressione del carattere della sua gente. Ride anche sulle sue disgrazie. La cultura d’origine è l’imprinting della comicità di un paese anche se oggi il “si può dire o non si può dire” è dettato dalla paura di scontentare qualcuno, di andare contro l’opinione, simbolo di una soggettività. Il mercato condiziona la comicità.
La libertà della comicità non può fare a meno di scontrarsi coi conformismi, i bigottismi, i benpensantismi ipocriti di oggi e di sempre. Deve difendersi dai colpi di un punto di vista, che diventa virale e assurge a imposizione. Il nonsense, l’umorismo paradossale che rivela intelligenza ha lasciato il posto a una debolezza espressiva che non porta dietro di sé tutta la fatalità della vita, non risale alle sorgenti umane. “Marmellate” che non colgono l’aspetto comico della realtà. L’argomento sesso è come camminare sui carboni ardenti, ci si brucia di sicuro. La satira non è sinonimo di ingiuria. Si può ironizzare sui gay senza disprezzo, si può ironizzare sulle lesbiche senza pensare ad esseri con devianze di genere, si può fare comicità sui politici, soprattutto sul loro operato senza dover incorrere negli anatemi… Far ridere e divertire fa la differenza. Ad esempio i politici fanno ridere ma non divertire. Che il cinema ci aiuti per favore… purché gli attori non siano dei trasfughi dei disoccupati, e che i produttori non siano solo industriali ma possano nutrire spirituali ambizioni che la genialità e il talento siano i mezzi che il mercato può offrire ancora…