Il 14 gennaio scorso al castello dei Cavalieri di Malta di Magione, vicino Perugia sono stata invitata a partecipare al convegno in ricordo dei mille anni di regno del Montenegro e i dieci della loro indipendenza. Non potevo mancare per la ragione che alla Regina Elena e al Montenegro ho dedicato studi e ricerche poi conclusesi con la pubblicazione di un libro: “Elena di Savoia una vita d’amore” che presentai proprio a Fregene per la prima volta. Me lo presentò il maestro Branchini. Un folto pubblico aveva riempito il giardino dell’hotel Corallo, c’era anche Maria Alessandra Baffi e alcuni dello staff della Biblioteca di Fregene. Una storia forse un po’ estranea ai più ma in realtà non era così. Fregene, un centro che ha richiamato da sempre grandi personaggi, un luogo di incontro di personalità politiche, culturali e nobili, ha ospitato anche Vittorio Emanuele III e la sua dolce consorte Elena di Montenegro. Quando acquistai casa a Fregene mi innamorai subito di questa piccola bicocca, dove ancora abito in mezzo ai lecci, circondata da finestre, praticamente inarredabile. Mi raccontarono che era stata un casino di caccia e in effetti appena preso possesso dell’immobile trovai un sacco di cimeli che erano appartenuti ai reali e ai loro figli: monete in giardino, cartoline di saluti di Maria Gabriella di Savoia, di Titti che fece scalpore quando si innamorò di Maurizio Arena.. Un giorno mentre ero alla Biblioteca Casanatense di Roma a consultare libri mi sono imbattuta in questa notizia: “Elena e Vittorio Emanuele ospiti delle gare ippiche nella Pineta monumentale di Fregene”. La notizia un po’ scarna ha però il suo valore ed è un vanto per la nostra località che dovrebbe recuperare quell’alone di prestigio che ha avuto in passato. La Regina Elena si intravede con il solito cappottone nero, sia lui che lei erano schivi da ogni mondanità, semplici e talmente normali da essere considerati, più che sovrani, gli “inquilini del Quirinale”.
Vittorio Emanuele III e Elena di Montenegro k
La regina è stata una donna semplice, forte e buona, ha speso la sua vita al bene del suo popolo e di quello italiano ed è rimasta nel ricordo della storia come la regina più umile e generosa. La sua carità non conosceva barriere, paziente, senza alterigia, incapace di pensare male, scusava tutti e sopportava tutto, sempre pronta a credere e a sperare. Amatissima da tutti coloro cui pervenne il suo sostegno: gli emarginati, gli orfani, gli ospedali da lei finanziati, i centri di ricerca per malattie allora poco conosciute, come l’encefalite letargica e il Parkinson. Nel 2002 fu emesso dalle poste italiane un francobollo con la sua immagine in favore della lotta contro il tumore al seno delle donne. Di tumore morì anche lei ma fu forte, fino all’ultimo istante, amatissima anche dai Francesi che la conobbero a Montpellier dove trascorse gli ultimi tempi della vita in cura dal medico Lamarc. Non di gesti clamorosi, di idee ardite, di arroganti testimonianze, di travestimenti fatalmente smascherabili è tessuta la memoria di Elena. Atti di umana pietà, lacrime autentiche per le piaghe altrui, sorrisi distribuiti a piene mani alle creature di dolore. Non certo senza merito e senza motivo le sono state attribuite tantissime onorificenze: La Chiesa Cattolica la insignì del più alto riconoscimento, La Rosa d’oro (5 aprile 1937). L’Accademia internazionale americana di New York  le conferì invece la laurea ad honorem per i suoi alti ideali, per le sue competenze scientifiche e culturali, e il Sovrano Ordine Militare di Malta la insignì della Gran Croce di Onore e di Devozione (19 luglio 1906). Nel 1941 le venne conferita la laurea ad honorem in medicina dal ministro Bottai. Fu lei a scoprire il farmaco per la malattia del Parkinson.
Elena si impegnò anche per l’emancipazione delle donne, combatté la povertà, promosse l’igiene femminile in tempi che era trascurata tanto quanto quella delle abitazioni. Nel 1908 aveva incoraggiato il I Congresso delle donne italiane tenutosi in Campidoglio. Nel 1914 ricevette le delegate del I Congresso femminista internazionale tenutosi a Roma per reclamare i diritti fondamentali per la donna come il diritto al voto.
Pensava pochissimo al suo aspetto esteriore e per questo suscitava critiche e atteggiamenti di sufficienza. Matilde Serao, moglie del giornalista Edoardo Scarfoglio, direttore de Il Mattino di Napoli, l’additò tra le donne peggio vestite d’Italia. La cugina Elena di Orleans, consorte di Emanuele Filiberto duca d’Aosta, nel sottolineare la differenza tra le splendide corti europee e la semplicità dei reami balcanici, le rifilava l’epiteto di “Pastora”.
Come non ricordare quanto si prodigò per la città di Messina colpita dal terremoto nel 1908 o quando durante la guerra mondiale trasformò il Quirinale in un ospedale da campo, suscitando il disappunto della Regina Margherita? Ho avuto la fortuna di “conoscere” Elena di Montenegro attraverso il ricordo vivo e palpitante del popolo montenegrino e del nipote Enrico d’Assia, figlio di Mafalda di Savoia, la figlia della Regina morta nel campo di concentramento di Buchenwald scomparso nel 1992 e che ho avvicinato durante la stesura del mio libro. Da lui ho avuto testimonianze di prima mano, consegnandomi ricordi personali. Ne è venuto fuori un ritratto di una struggente umanità: “Mia nonna era una donna anticonformista”, mi confidava il nipote che mi riceveva a Villa Polissena a Roma e i colloqui erano sempre informali, spiritosi, mi portò perfino in bagno per farmi vedere quadri e fotografie della nonna Elena che erano così numerosi da occupare qualsiasi spazio. “Nonna Elena faceva tutto quello che avrebbe dovuto fare un uomo, guidava la macchina ed era capace di aggiustarla meglio del meccanico. Se ne intendeva certamente più del nonno re Vittorio Emanuele III sempre schivo e riservato ma che ogni giorno le portava un mazzolino di viole accompagnandolo con un bacio sulla nuca”.
Vittorio_Emanuele_III_di_Savoia_ed_Elena_di_Montenegro
Dinamica, attiva, sportiva, era una pescatrice appassionata. Non era amante dei medici e delle medicine rispettando una tradizione montenegrina che si vantava di sapersela cavare senza l’intervento dei dottori. La stessa Regina si curava attraverso antichi rimedi frutto dello studio delle  miracolose erbe della sua terra: La grappa, Rakia, fortissima e pura era usata come antidolorifico. Sempre pronta ad andare dove il bisogno la chiamava, era l’ultima a rientrare a casa e aveva l’abitudine di girare in anonimo. Enrico d’Assia ricorda che era una bella donna, slanciata, simpatica, bruna, olivastra, capelli nerissimi, occhioni neri, aria e sorriso dolcissimi. Di questa Regina è inevitabile la domanda: ma si amavano veramente i due immortalati nell’immaginario collettivo con l’epiteto Curtatone e Montanara a sottolineare la differenza notevole dell’altezza fra i due? Calzava 41 di piede.
Il Re Vittorio Emanuele III, ritroso, introverso, poco amante della vita esteriore e mondana scelse tra le tante candidate al trono Elena di Montenegro facendo gioire sua madre la Regina Margherita che faceva sapere come la parola matrimonio a suo figlio faceva venire una faccia come avesse bevuto un’amara medicina. Finalmente tacquero anche le malelingue che volevano il principe ereditario impotente. Chi orchestrò tale unione fu il Crispi che pensava ad una nostra influenza nei Balcani come una buona carta da giocare per l’Italietta di fine secolo. Edoardo Scarfoglio parlò di tristi e male auspicate nozze perché si decidevano quando la nostra politica estera era affondata con Adua. In Italia si parla  di matrimonio d’amore a dispetto delle ironie che circolavano e si celebra il 24 ottobre. La Basilica di Santa Maria degli Angeli a Roma è addobbata splendidamente. Circa 5000 persone assistettero alla cerimonia. Verranno sciolti 200 piccioni viaggiatori che porteranno la notizia in Montenegro. Fu donna di dolore, le lacrime versate per l’amata figlia Mafalda morta nel campo di concentramentola resero cieca in un occhio. In occasione della loro battaglia politica per ottenere l’indipendenza mi schierai per la loro indipendenza. La regina Elena visse ad Alessandria d’Egitto ospite del re Farouk I fino alla morte del consorte nel 1947. Tre anni dopo scoprì di essere malata di cancro e si trasferì a Montpellier in Francia per sottoporsi ad un difficile intervento chirurgico. Non sopravvisse, morì nel novembre 1952 e per sua espressa volontà fu sepolta in una comune tomba del cimitero cittadino di Montpellier. Nel 2001 è stata proclamata Serva di Dio in occasione dell’apertura del processo di canonizzazione. Allora quel mazzolino di violette che il consorte non le faceva mancare ogni giorno vorremmo offrirlo proprio a lei, ancora esule, sopra la sua tomba, non più sul suolo straniero ma su quello italiano, la sua ultima e amata patria.

Delfina Ducci