I motivi per i quali si scelgono (e si comprano) i libri da leggere sono tanti e disparati, alcuni anche comici. Un titolo intrigante, un consiglio di un amico, un’assonanza con un nome o quello più classico, una copertina accattivante. Ma tutti questi in fondo si riducono a un unico elemento: la curiosità. E come non essere curiosi di una personalità quale quella di Flaiano, tanto legato a Fregene da aver scelto di essere seppellito a Maccarese.
Diciamo subito che questo è un libro un po’ sui generis, quasi come quei film a episodi, dove ogni parte è a sé stante, anche se tutte sono legate da un filo conduttore.
Lo stesso Flaiano ce lo presenta così: «I due racconti di questo libro sono le facce di una stessa medaglia… Un po’ di esperienza ci insegna che pari e dispari sono segnati sullo stesso dado e che il dramma e la farsa accompagnano a vicenda un personaggio indeciso o semplicemente mediocre».
E in effetti quello che lega i due racconti o meglio i due protagonisti è la solitudine, la loro posizione sempre un po’ defilata rispetto a tutto quel che accade intorno, la loro malinconia.
Il primo racconta le vicende paradossali e tragicomiche di Graziano, cronista-praticante svogliato, seduttore disastrosamente maldestro che viene attirato da un’aliena docile e impassibile su un’astronave approdata a Fiumicino. Astronave quanto mai domestica, simile a un «padiglione da fiera» perché nell’esistenza di un «vitellone» come Graziano lo straordinario non può che mutarsi in ordinario, l’avventura in disavventura.
Il secondo racconto è invece ambientato nella campagna laziale, dove il protagonista Adriano (alter ego dello stesso Flaiano), si rifugia per allontanarsi dalla mondanità romana, ma si sente subito annoiato, confuso e invecchiato, e guarda con distacco e ironia il set di un film (Le Notti di Cabiria di Fellini), le famiglie che vanno in vacanza al mare e la quieta noia della vita provinciale e i suoi riti.
La scrittura di Flaiano è piacevole, mai eccessiva, in alcuni tratti un po’ datata (il libro è del 1959) ma sempre brillante. E se è difficile immedesimarsi nelle vicende di Graziano, quasi al limite del surreale, i luoghi descritti da Adriano seppur mai nominati, richiamano l’atmosfera del Villaggio dei Pescatori di Fregene, soprattutto quando è finita la stagione estiva. Ed è in quel momento che questi posti ci risultano ancor più veri.
C’è un passo del libro dove Flaiano elenca tutti i nomi di luoghi terrorifici, singolarmente vicini e che colpisce perché indica quanto queste terre siano stati luoghi di misfatti e calamità.
«Sulla strada Ostiense trova un fosso di Malafede, un cancello e una via di Malafede. E anche un ponte del Ladrone. A due passi, un Infernetto I e un Infernetto II. Un Infernaccio è là, sulla strada della Magliana. Sulla strada di Castel Fusano, un Casale Contumacia. Sulla Laurentina, una Chiesaccia. Nei pressi di Bracciano, un Uomo Morto, un Casalaccio, un Castellaccio, una Ferraccia. Le vecchie osterie sono del Malpasso, o della Puttanella, o del Pisciacavallo. Sull’Ardeatina trova un casale Abbruciato; sull’Aurelia, un Quarto di Vipera, una casetta delle Pulci, una masseria delle Pulcette. Un casale della Pidocchiosa lo sorprende sulla via Labicana. Sulla strada Braccianese, un Monte Mariolo, verso Maccarese un castello, un casale e un ponte Malnome. Malborghetto è sulla Flaminia. Malvicino presso Boccea, Malagrotta sull’Aurelia. Verso Tivoli, un canale Coccia di Morto e una Chiavichetta. Sulla strada di Poli, un fosso dell’Acqua Puzza e un fosso dell’Ammazzato. Di Femmine Morte ce ne sono tre. Le torri che guardano i campi sono Torraccie, o Spaccate, o Rotte, Violate. “Nessun nome grazioso, nessuna bellavista o belvedere, nessun prato fiorito o valle fiorita o ombrosa”, pensa Adriano, “tutto parla di misfatti, di fughe, di cattivi incontri, di calamità e di vendetta”. E sorride».
Ennio Flaiano, Una e una notte, 1959, Piccola Biblioteca Adelphi.
di Cinzia Bassoli