Venerdì 16 febbraio alle 21.00, per la rassegna “Cinema per noi” presso la Casa della Partecipazione in via del Buttero 3, appuntamento con il film “Sole alto”. Un lavoro sincero, che guarda oltre la guerra dei Balcani e si iscrive nel ristretto gruppo di opere che hanno colto nel profondo lo specifico del conflitto.
1991: Jelena e Ivan si amano stanno per lasciare i paesi in cui vivono per trasferirsi a Zagabria. Ma lei è serba e lui croato e i primi segnali dell’esplodere dell’odio etnico non aiutano questo loro progetto. 2001: Dopo il conflitto la giovane serba Nataša torna con la madre nella casa in cui avevano vissuto e in cui la guerra ha lasciato profonde ferite che segnano anche gli animi. Ante, croato, accetta di lavorare nell’edificio per riattarlo ma la ragazza non sopporta la sua presenza. 2011: Luka, croato, torna al paese in occasione di una festa dopo una lunga assenza. Va a trovare i genitori che non vede da tempo ma, soprattutto, decide di recarsi a casa di Marija, serba con la quale ha avuto molto di più di una relazione.
Sembra appartenere ad un lontano passato il conflitto che ha insanguinato i Balcani tanto che le generazioni più giovani spesso ne sanno poco se non addirittura nulla. È a loro in particolare che si rivolge Dalibor Matanić con questo film che si inscrive, senza ombra di dubbio, nel ristretto gruppo di opere che hanno saputo cogliere nel profondo lo specifico del conflitto che tra il 1991 e il 1995 insanguinò in maniera orribile l’ex Jugoslavia ma anche, e questo è il suo straordinario pregio, le dinamiche che sono proprie di ogni guerra civile. Lo fa attraverso tre storie in cui il rapporto amoroso diviene cartina al tornasole per evidenziare la sofferenza ma anche la possibilità di una speranza che tragga origine dall’accettazione dell’altro visto come persona e non come appartenente a questa o quella etnia o a questo o quello schieramento politico.
Si potrebbe lecitamente pensare ad un archetipo narrativo classico, a un Romeo e Giulietta rivisitati nella contemporaneità ma non è così. Perche Matanić ha conosciuto sulla sua pelle la realtà che porta sullo schermo ed era pienamente consapevole del fatto che, nei Balcani, il film avrebbe potuto avere un’accoglienza contrastata perché i lutti non sono stati dimenticati e non tutte le ferite si sono rimarginate. Ma proprio perché questo film guarda oltre ha il coraggio di ricordarci, in un periodo in cui l’intolleranza sembra tornare a dominare le dinamiche mondiali, che si può guardare alla realtà in modo diverso. Lo fa con una scelta anche cinematograficamente non facile. Perché sceglie gli stessi due straordinari giovani interpreti per tutte e tre le storie costringendo lo spettatore a pensarli come diversi (con un diverso passato, con differenti modi di guardare al presente e al futuro in periodi cronologicamente ben distinti). Al contempo però ci chiede anche di pensarli ‘uguali’, uguali a milioni di ragazzi e ragazze che vivono o hanno vissuto in situazioni di conflitto in cui chi preferisce odiare pensa di semplificare la vita appiccicando ad ognuno un etichetta che lo renda immediatamente riconoscibile come amico o nemico e su questa base (e solo su questa) decidere se eliminarlo o affiancarglisi.
Matanić non ci propone un embrassons nous retorico o quantomeno utopico. Conosce il prezzo che tutti debbono pagare prima, durante e dopo un conflitto ma pensa anche che sia possibile andare oltre pur non dimenticando il passato. Per fare questo è necessario che la luce sia allo zenit, che il sole sia alto, nonostante tutte le nubi che lo possono nascondere alla vista della società e dei singoli.
Dalibor Matanic è nato a Zagabria nel 1975 e, sempre a Zagabria, si è diplomato in regia all’Accademia d’Arte Drammatica. Nel 2000 ha scritto e diretto il suo primo lungometraggio, The Cashier Wants to go to the Seaside, cui sono seguiti, fra gli altri, Fine Dead Girls (2002), 100 Minutes of Glory (2005), Kino Lika (2008), Mother of Asphalt (2010) e il recente Handymen (2013). Uno dei suoi maggiori successi è il corto Party, presentato a Cannes nel 2009 e vincitore di 18 premi in vari festival nazionali e internazionali.
Nel 2015 riceve il Premio della Giuria Un Certain Regard al Festival di Cannes per il suo Sole alto.